Dopo il Mille: la ceramica come prodotto urbano

Le manifatture ceramiche a Pisa tra XI e XII secolo

Grazie all’archeologia sappiamo che tra VIII e X secolo in area pisana vi furono diversi luoghi di produzione del vasellame ceramico, più spesso legati a centri amministrativi situati presso castelli, pievi e monasteri. Per quanto riguarda la città, al momento si hanno evidenze certe della presenza di queste manifatture solo successivamente al Mille: gli scarti di produzione recuperati nell’area sud-orientale del tessuto urbano dimostrano che tra XI e XII secolo a Pisa si realizzavano brocche in terracotta depurata più o meno ornate con graffiture sul collo o sulla spalla. Con la stessa argilla sono modellati anche i contemporanei catini, oltre ai microvasetti e alle fusaiole per la filatura. Nello stesso periodo molto probabilmente in città o nelle aree limitrofe si facevano anche le pentole (dette “olle”), le brocche per il riscaldamento di liquidi o semiliquidi, e i testelli per la produzione di bassi pani. In questi casi l’argilla era meno depurata e vi potevano essere aggiunte piccole rocce o altri inclusi che contribuivano a rendere il vasellame più resistente agli shock termici ai quali doveva essere sottoposto. Tutti questi manufatti erano foggiati e cotti una sola volta, senza presentare alcuna forma di rivestimento o di decorazione colorata; gli eventuali ornamenti erano incisi a crudo dopo la parziale essiccazione.
Ceramista medievale al tornio raffigurato in una miniatura, Concordantiae caritatis, Lilienfeld Stiftsbibliothek 151, f.211v, XIV secolo

La ceramica che viene dal mare

Le importazioni di ceramiche mediterranee a Pisa tra fine X e XII secolo

A partire dalla fine del X secolo, anche grazie all’aumento dei contatti politici e commerciali, a Pisa si registra l’inizio di una trasformazione economica e sociale che si riflette anche sul vasellame ceramico. Da questo momento in città si iniziano a trovare ceramiche importate da tutto il Mediterraneo: oggetti fabbricati con tecnologie sconosciute in quel momento in Italia, impermeabilizzati tramite l’applicazione di rivestimenti vetrificati e arricchiti con decori esotici e colorati, secondo tradizioni diverse messe a punto nel mondo islamico o in area bizantina. Tali caratteristiche li rendevano originali e accattivanti tanto da essere richiesti sia per gli usi domestici (inizialmente come oggetti di lusso) che come decorazioni architettoniche a buon mercato per le chiese cittadine. Dal XII secolo questo vasellame fu importato in grandi quantità sia a Pisa che in Toscana e in generale in tutta l’Italia costiera, diventando articolo di uso comune nelle classi sociali medio-alte, come indicano i ritrovamenti archeologici.
Chiesa di S. Sisto con la decorazione a “bacini” ceramici di importazione mediterranea sulla facciata (1070-1090 circa)

Una rivoluzione tecnologica

La fabbricazione di maioliche e invetriate a Pisa tra XIII e XV secolo

All’inizio del Duecento Pisa è all’apice della sua espansione economica: tale prosperità ha un riflesso diretto anche nel vasellame domestico e nella produzione di ceramica cittadina. Le tecnologie utilizzate per produrre le ceramiche mediterranee vengono importate a Pisa e grazie a tali saperi i vasai cittadini iniziano a produrre nelle loro botteghe le prime maioliche italiane (la cosidetta “maiolica arcaica”). Le maioliche arcaiche utilizzano le stesse tecniche che erano in uso in Spagna e soprattutto in area balearica: una base di smalto bianco sulla parete principale del pezzo, da ornare in verde e bruno, e una vetrina trasparente per le pareti secondarie, che risultano nascoste all’occhio. Con la sola vetrina vengono fabbricate anche stoviglie meno pregiate per contenere o preparare gli alimenti, nelle quali l’unica decorazione è data dal colore dello stesso rivestimento traslucido, che varia dal verde al giallo fino al marrone chiaro.
Boccali di maiolica arcaica rappresentati nel dipinto di Duccio di Buoninsegna, Le nozze di Cana, predella della Maestà del Duomo di Siena (1308-1311), Museo dell’Opera del Duomo, Siena (https://commons.wikimedia.org)

Tra ripresa della tradizione e innovazione

Materiali edilizi in cotto e laterizi decorati per gli edifici tra XII e XIV secolo

Dopo la fine del mondo antico una ripresa della produzione di mattoni, non episodica, sembra collocarsi a Pisa dai primi decenni del XII secolo, come dimostra l’uso del laterizio nelle fabbriche di S. Cecilia e nei rialzamenti dei campanili di S. Sisto, S. Andrea e S. Frediano, oltre che in alcune case-torri private emerse dai recenti scavi urbani. L’uso del mattone nell’edilizia civile e religiosa diventa sempre più comune, fino a sostituire la pietra, dalla fine del XII e ancor più nel secolo successivo. Allo sviluppo della produzione laterizia, ma anche di tutti gli altri materiali edilizi come coppi, tegole, tubi fittili, si accompagna l’uso del mattone decorato per arricchire le facciate delle vecchie case in pietra o per rendere uniche le soluzioni decorative dei prospetti dei nuovi palazzi signorili. Questi particolari prodotti, foggiati di solito in stampi speciali e incisi a mano, compaiono in Toscana dalla metà circa del XII secolo e si diffondono lungo le principali vie di comunicazioni (ad esempio la via Francigena e l’Arno), per arrivare anche a Pisa dove se ne documenta un maggiore uso a partire dal XIII secolo.
La quattrocentesca facciata di Palazzo Agostini Veronesi Della Seta, Lungarno Pacinotti, Pisa.

Trasmissioni e trasformazioni

Dalle ultime maioliche arcaiche alle prime graffite nel XV secolo

All’inizio del Quattrocento Pisa viene conquistata da Firenze e ciò dà inizio ad una crisi economica e sociale che si riflette anche nella produzione di ceramiche, con l’abbandono della città da parte di numerosi vasai. Le maioliche fiorentine invadono le case con conseguente impoverimento della maiolica arcaica pisana: le decorazioni si semplificano e la vetrina cessa di essere utilizzata a favore di un rivestimento totalmente bianco su tutte le superfici dei pezzi. Entro la metà del secolo nelle manifatture cittadine viene introdotta una nuova tecnica, che prevede l’uso dell’ingobbio (una terra argillosa bianca) in sostituzione dello smalto e decorazioni graffite in luogo o a fianco di quelle dipinte. La vetrina copre l’ingobbio graffito per rendere impermeabili gli oggetti e far risaltare gli ornati sottostanti. Nelle poche botteghe rimaste attive in questo periodo i vasai utilizzano indifferentemente entrambe le tecniche (maiolica e graffitura su ingobbio).

Le ceramiche pisane oltre le colonne d’Ercole

La moltiplicazione dei centri produttivi e l’esportazione dei prodotti pisani oltre il Mediterraneo tra XVI e XVII secolo

La grande diffusione della tecnica dell’ingobbio nelle botteghe toscane a partire dal XVI secolo permette il riaffermarsi di Pisa quale centro di produzione ceramica di livello regionale, parallelamente ad altri importanti centri, come Montelupo Fiorentino, dove venivano prodotte le più ricercate maioliche. I vasai pisani si specializzano nella produzione del vasellame ingobbiato e variamento decorato (con graffiture a stecca o a punta, a fondo ribassato, marmorizzate, maculate), che trova un così ampio mercato da attirare in città famiglie di ceramisti dal territorio anche fuori della regione. Dall’inoltrato Cinquecento e nel secolo successivo si registra una moltiplicazione dei centri produttivi diffusi in tutto il territorio pisano, da cui deriva una codifica del repertorio tecnologico e decorativo che diviene comune per l’intera area del basso Valdarno. Il ruolo di Livorno come porto franco frequentato dalle navi oceaniche fiamminghe e inglesi permette inoltre la diffusione dei prodotti pisani fin nel Nord Europa e nelle Americhe.

Dalle botteghe alle fabbriche

Il passaggio dalle ceramiche artigianali alle terraglie industriali tra XVIII e XIX secolo

I vasai pisani continuano a fabbricare ceramica ingobbiata sino all’Ottocento, seppure in forme e modi diversi. Le decorazioni graffite sono eseguite solo con la punta, ma tendono a scomparire a favore di ornamenti esclusivamente pittorici (in verde e rosso) o con schizzi di colore (maculate in verde). La maggior parte del vasellame domestico è, però, semplicemente ingobbiato, senza alcuna decorazione. Nelle stesse botteghe delle ultime ingobbiate dall’inizio del XIX secolo vengono prodotti anche piatti ricoperti di vetrina marrone brillante, tappi per fiaschi, pipe e altri piccoli oggetti di uso quotidiano. In questi stessi anni la rivoluzione industriale comporta cambiamenti anche nella fabbricazione di ceramica a Pisa, favoriti dalla presenza di nuove maestranze che aprono le loro fabbriche nella parte nord-orientale della città: iniziano a essere prodotte così le “terraglie” che utilizzano tecnologie e modelli di origine nord-europea.